Siccità, sprechi, soluzioni: quale futuro? - Protezione Civile, Il Giornale della

2022-07-23 04:31:05 By : Mr. Qiang Wang

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La siccità che asseta l’Italia e che solo oggi, vista la sia gravità, è balzata con grande clamore agli onori della cronaca, non è certo un problema recente: sono almeno 20 anni che si manifesta in tutta la sua evidenza e problematicità, ma sino ad ora poco o niente di risolutivo è stato fatto. Come di prassi, nel nostro Paese si aspetta che i problemi diventino pesanti emergenze prima di affrontarli e correre ai ripari e, quando (e se) lo si fa, si adottano soluzioni tampone non risolutive e non ottimali. Ovviamente con costi estremamente più elevati rispetto a quanto sarebbe stato necessario che se si fosse agito per tempo e con danni che potevano essere evitati. E la siccità con cui oggi ci troviamo a fare i conti non fa eccezione. Quel che succede lo sappiamo: scarsissime le precipitazioni nevose e la pioggia nello scorso inverno, idem in primavera, e temperature ben al di sopra della media stagionale, cuneo salino che risale a livelli mai visti prima. Risultato? Manca l’acqua per l’agricoltura, per la zootecnia e si parla già di razionamento nell’erogazione dell’acqua potabile. Il problema però non ha solo origine nella crisi climatica in atto: sappiamo da svariati decenni che abbiamo acquedotti colabrodo, con perdite del 42% a livello nazionale e differenze notevolissime da territorio a territorio, (in Emilia-Romagna ad esempio le perdite effettive sono attorno al 26%), punte di dispersione localmente fino al 72% dell’acqua potabile e una perdita annua di oltre 3 miliardi di metri cubi; sappiamo di essere inefficienti anche in fatto di regimentazione delle acque piovane (in Italia attualmente raccogliamo solo l’11% della pioggia caduta), perseveriamo con scellerate pianificazioni urbanistiche che consumano e impermeabilizzano i suoli impedendo alle falde acquifere di ricaricarsi, stiamo facendo ancora troppo poco in tema di dissesto geo-idrologico e di tutela delle acque sia a livello strutturale sia di azioni di prevenzione. Come venirne fuori? Per quanto riguarda la siccità, le soluzioni di cui si parla sono tante e variegate, fermo restando che senza un serio impegno di contrasto e mitigazione della crisi climatica ogni sforzo rischia di essere vano. Fra queste: - un serio programma di manutenzione e rifacimento della rete idrica che metta finalmente mano agli sprechi abnormi; - la riduzione degli sprechi quotidiani a tutti i livelli, dalle imprese, alle istituzioni, ai singoli cittadini con l’adozione di buone pratiche e semplici abitudini quotidiane che senza troppi sforzi permetterebbero un significativo risparmio d’acqua (in Italia il consumo medio pro-capite è di 220 litri al giorno (anche qui con notevoli differenze fra regioni), comunque fra i più alti di Europa, contro una media europea di 165 l; - soluzioni basate sulla natura (Nature Based Solutions, NBS) per aiutare gli ecosistemi a trattenere acqua; - riassegnazione delle quote di utilizzo per l’agricoltura (in Italia circa il 60% dei 56 miliardi di m3 annui di consumi di acqua dolce è utilizzato per scopi irrigui e allevamenti), per l’idroelettrico e per tutti gli altri usi civili, industriali e ambientali in base a un bilancio idrico di bacino che garantisca un utilizzo sostenibile dell’acqua. Nello specifico, per quanto riguarda il comparto di produzione alimentare, occorre che si confermi il concetto di sostenibilità. Diventa necessario ed impellente individuare quali siano le produzioni da incentivare e quelle da evitare affinché si possano assicurare i livelli di produzione del cibo privilegiando produzioni meno idro esigenti. Il PAC Piano Strategico Nazionale è stato bocciato dalla Commissione Europea anche per lo scarso contenuto in argomenti di sostenibilità ambientale (*). - depurazione delle acque reflue che possono essere utilizzate sia per finalità irrigue, sia nell’industria. Pur disponendo di tutte le tecnologie del caso, secondo l'indagine "Il riutilizzo delle acque reflue in Italia", realizzata da Utilitalia, il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura avrebbe un potenziale enorme (9 miliardi di metri cubi l'anno) ma in Italia viene sfruttato solo per il 5% (475 milioni di metri cubi). - tecniche d’irrigazione di precisione con monitoraggio del terreno che indica quando e dove irrigare o annaffiare (vedasi ad esempio il servizio Irrinet). - pannelli fotovoltaici sugli specchi d'acqua, che oltre a compensare l'energia elettrica prodotta oggi con i combustibili fossili, ridurrebbero l'evaporazione: a parità di temperatura dell’aria, su una superficie d'acqua all'ombra l'evaporazione si riduce del 20-30%. - stoccaggio sotterraneo dell’acqua, in falde naturali. A questo proposito, c’è chi propone anche la costruzione di invasi sotterranei, che rispetto agli invasi all’aperto non risentirebbero dell’evaporazione, non comporterebbero consumo di suolo né il problema dei detriti che si depositano sul fondo e che pian piano riducono la capacità di stoccaggio degli invasi (oltre ad avere un costo molto inferiore rispetto a un invaso di superficie della stessa capienza). C’è chi invece non vede affatto di buon occhio questa soluzione considerata un’utopia con tante problematiche: fra le principali, questi invasi potrebbero essere profondi solo pochi metri per non interagire con le falde superficiali e quindi non dare luogo a fenomeni di “galleggiamento” quando vuoti (vedi spinta di Archimede), pertanto dovrebbero avere superfici molto elevate per contenere i volumi richiesti, quindi grandi aree cementate (solette) sostenute da travi e pilastri. - creazione di nuovi invasi di superficie per aumentare la capacità di stoccaggio della risorsa idrica. Qualche settimana fa Anbi e Coldiretti hanno presentato a Roma il “Piano laghetti”, progetto per la realizzazione entro il 2030 di 10mila invasi medio-piccoli e multifunzionali in zone collinari e di pianura, che andrebbero a incrementare di oltre il 60% l'attuale capacità complessiva dei serbatoi esistenti e la percentuale dell'11% di quantità di pioggia attualmente trattenuta al suolo. L' idea dei proponenti è quella di "costruire" i laghetti senza uso di cemento per ridurre l’impatto ambientale in equilibrio con i territori, diminuire il rischio di alluvioni e frane, garantire la disponibilità idrica in caso di incendi, migliorare il valore paesaggistico dei territori e garantire adeguati stoccaggi per le produzioni idroelettriche green. La creazione di questi nuovi invasi suscita però dubbi e perplessità: ad esempio se si vuole costruire “senza l’uso di cemento”, in montagna si possono realizzare solo piccoli laghetti con paramento in terra (poche migliaia di mc), inutilizzabili per l’idroelettrico; se si costruiscono “vasche” in pianura non si ha la produzione idroelettrica. Quanto al concetto di migliorare il valore paesaggistico del territorio si guarda agli invasi agricoli esterni all’alveo realizzati, per esempio, nelle vallate dei fiumi di Senio e Lamone, si vedrà che non sono circondati da boschi o prati, ma da coltivazioni intensive di kiwi, ciliegie, albicocche. Una bocciatura senza appello viene, inoltre, dal WWF che la definisce “una soluzione di breve respiro che rischia solo di alterare ulteriormente il ciclo idrologico e peggiorare la situazione”. Contrario anche Il Cai, Club alpino italiano, che ha definito la proposta di regimentare le acque di montagna raccogliendole in mille laghi artificiali (avanzata lo scorso anno da Coldiretti, Enel, Eni e Cassa Depositi e prestiti) “un fattore di desertificazione delle terre alte, con costi ambientali inestimabili, che non produce migliorie al territorio né rende disponibili le risorse idriche contro gli incendi: esattamente il contrario”, ma anche chi semplicemente afferma che gli invasi già esistenti sono in massima sofferenza per la mancanza di pioggia e altri invasi farebbero la stessa fine. Ne parliamo con la dottoressa Daniela Lucchini, responsabile di CTR Sistemi Idrici di Arpae, l’Agenzia regionale per la prevenzione, l'ambiente e l'energia dell´Emilia-Romagna: In linea generale, qual è la situazione del nostro Paese dal punto di vista delle risorse idriche disponibili? «Noi abbiamo la conoscenza di quello che succede sul territorio dell’Emilia-Romagna e sull’asta del fiume Po; sul Po la situazione è conosciuta da tutti, molto critica e in costante peggioramento; sugli affluenti appenninici del Po e dell’Adriatico gli stessi risentono di precipitazioni primaverili che sono risultate solitamente sotto la media, qui le aste montane hanno ancora acqua, anche se meno degli altri anni nello stesso periodo, poi da metà luglio, con il cambiamento climatico in atto, sono almeno 15-20 anni che le portate risultano quasi sempre esigue, per diventare spesso nulle nei tratti di pianura, a valle delle derivazioni irrigue della pedecollina e dei dreni verso le falde che avvengono nei tratti di conoide e che naturalmente sottraggono i flussi residui legati al Deflusso ecologico. Per quanto riguarda le falde di pianura, in particolare quelle di conoide alluvionale e confinate profonde, evidenziano in generale una maggiore criticità quelle del Bacino del Po, da Piacenza a Modena, rispetto alle falde delle conoidi del Bacino del Reno (Bologna) e dei Fiumi Romagnoli. In questo periodo dell’anno la tendenza all’abbassamento dei livelli di falda è naturale ma rischia di subire un accelerazione se dovessero permanere assenza di precipitazioni e ridotte portate nei corsi d’acqua principali. Per quanto riguarda le sorgenti, la situazione delle zone montane è ancora sotto controllo, con ricorso ad autobotti solo per alcuni territori in cui sono in parte mancate negli anni adeguate azioni infrastrutturali relative alla realizzazione di serbatoi, interconnessioni, e possibilità di prelievi superficiali di emergenza». Quest’anno è “esplosa” l’emergenza siccità, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Cosa dobbiamo aspettarci per i prossimi mesi? «Temo nulla di buono, le portate estive dei fiumi dipendono dalle precipitazioni invernali e primaverili, che in parte sono mancate, soprattutto sul versante alpino e non saranno i temporali estivi che saranno di supporto alle portate, determineranno un ristoro locale alle coltivazioni, quando va bene l’equivalente di una irrigazione». A suo parere quali sono nell’immediato le soluzioni più idonee per far fronte a questa crisi idrica? E nel lungo termine? «Nell’immediato in Emilia-Romagna si può fare quello che al 99% si sta già facendo dove serve: • migliorare per quanto possibile i pescaggi sugli impianti del Po, per rifornire i il più possibile i canali irrigui (ad esempio il CER che alimenta Bologna e la Romagna), almeno fino alla fine di luglio se sarà possibile, vettoriare gli scarichi dei depuratori nelle reti irrigue per aumentare la risorsa disponibile, • aumentare il prelievo dalle falde dove questa risorsa di emergenza è infrastrutturalmente disponibile, • rifornire con autobotti i serbatoi acquedottistici montani nelle aree che già ora evidenziano criticità, • sensibilizzare l’opinione pubblica sul risparmio (non solo nella propria abitazione, ad esempio limitando il lavaggio delle autovetture, accontentandosi di un giardino di casa meno verde, etc.) Nel lungo termine quello che, come biologa ambientale, mi sento di esprimere, è la necessità impellente di mettere in campo progetti di riqualificazione/rinaturalizzazione dei nostri fiumi, quali: • rinaturalizzazione morfologica ed ecologica dei corsi d’acqua che permetta il ripristino graduale dei Servizi ecologici che questi ecosistemi possono offrire. Un corso d’acqua di buona qualità è in grado di soddisfare esigenze plurime, dall’utilizzo idropotabile a quelli ludico, dall’utilizzo irriguo a quello della pesca. Già all’inizio degli anni ottanta si affermava che la qualità di un corso d’acqua era il risultato della qualità della gestione di un territorio; • ripristino delle fasce riparie boscate, che oltre ad assolvere al compito di fasce tampone per il trattamento dei carichi diffusi, mantengono l’ombreggiatura e fronteggiano l’innalzamento della temperatura dell’acqua con risultati positivi sia per le popolazioni acquatiche che per l’evaporazione. Fasce perifluviali boscate rappresentano inoltre Corridoi Ecologici per preservare specie animali e piante e la loro mobilità tra habitat differenti in una contestualizzazione di mantenimento della biodiversità; • ripristino delle aree golenali, ridare spazio ai fiumi allargando le sezioni disponibili attraverso l’arretramento o la rimozione di argini o di difese non utili, l’abbassamento e riconnessione di aree golenali rialzate, la riattivazione o l’ampliamento della piana inondabile. Queste azioni potranno fornire una difesa nei confronti degli eventi di piena e dei pericoli di esondazioni sui terreni circostanti, ma anche un rallentamento della corrente con una maggiore persistenza dell’acqua in loco con una grande promozione della ricarica di sub alveo che rappresenta un elemento determinante per le connessioni con l’acqua di superficie e come serbatoio idrico in momenti di criticità come quelli che stiamo vivendo; • azioni che promuovano il recupero della continuità longitudinale con una graduale rimozione di briglie. Evitare drastici interventi di manutenzione in alveo (ricalibrature, risezionamenti) salvaguardando la vegetazione e a garanzia di un regime idrologico più naturale con adeguate scelte di gestione degli invasi già presenti mirando a un riequilibrio del ciclo dei sedimenti attraverso una controllata reimmissione di sedimenti in alveo; • ricarica controllata delle falde: in Emilia-Romagna esiste il caso del Marecchia dove è studiata e praticata una ricarica controllata della conoide e si stanno analizzando altre possibili situazioni fattibili (è una delle misure per l’Emilia-Romagna del Piano di Gestione 2021). Le ricariche controllate, determinando un innalzamento delle falde stesse, supportano oltre allo stoccaggio di acqua, molti “servizi ecosistemici” come il rilascio dell’acqua stessa in alveo per sostenere le portate di magra e alimentare le zone di habitat umidi. I livelli di falda alti contrastano l’intrusione del cuneo salino; • scelta di pratiche agricole e colturali che permettano un aumento della sostanza organica nel terreni con la possibilità di aumentare la capacità di assorbire acqua piovana. Queste sono solo alcune indicazioni proposte da per strategie “biodiversità 2030”». Fra le soluzioni di cui più si discute, c’è la costruzione di nuovi invasi per la raccolta di acqua per fini civili, agricoli e per produzione di energia elettrica. Diversi però i pareri contrari: lei cosa ne pensa? Quali sono i punti di forza e le criticità di una soluzione di questo tipo? «Come già preso in considerazione dal Piano di Distretto Fiume Po siamo favorevoli alla realizzazione di accumuli a basso impatto nell’alta e media pianura, al di fuori dell’alveo dei fiumi; si dovrebbe trattare di volumi singoli fino a qualche centinaio di migliaia di mc, più che sufficienti per irrigare vaste aree agricole se accompagnati da appropriata infrastrutturazione di distribuzione con condotte irrigue in pressione. È, al riguardo, da molti anni in discussione, soprattutto in Emilia, l’impiego di volumi generati da cave di inerti. Tali volumi potrebbero essere riforniti, prima dell’estate, dai canali irrigui che derivano dagli affluenti appenninici, evitando in questo modo anche costosi pompaggi (sia economicamente che da un punto di vista ambientale). Bisogna però mettere in conto la perdita per evaporazione di una buona quantità di acqua a causa delle temperature che proprio in piccoli bacini (soprattutto in aree più calde) possono determinare anche fioriture algali». In merito alla realizzazione di rilevanti invasi montani (tipo quello in discussione di Vetto sul torrente Enza), escludendo posizioni preconcette, descriverei le diverse problematiche evidenziabili che rendono questo tipo di opere quanto mai impattante sull’ambiente fluviale, oltre alla nota questione se “in presenza di inverni-primavere secche il quesito è: come questi si riempiranno?”. In assenza di costose infrastrutture per trasferire in continuo a valle della diga dei sedimenti in arrivo da monte (le tecnologie per fare questo esisterebbero) molte sono le problematiche morfologiche, e non solo, che si origineranno nel tratto fluviale a valle negli anni successivi. Il materiale che si sedimenta nel serbatoio riduce progressivamente la capacità di accumulo determinando problemi ambientali quando ogni 2-3 anni si devono rilasciare, in poco tempo, i depositi limosi e argillosi accumulati sul fondo e in vicinanza degli organi di manovra (scarichi di fondo). Questi grandi invasi concorrono alla riduzione dei sedimenti in estese porzioni dei reticoli idrografici la cui conseguenza è l’incisione degli alvei e un impatto negativo sulle falde freatiche inducendo squilibri nel rapporto fiume-falde, ma anche di intrusione del cuneo salino. I fenomeni erosivi innescano, per esempio, la instabilità dei ponti. Un grande invaso per lunghi mesi dovrebbe accumulare acqua rilasciando un limitato quantitativo, pressoché costante, di acqua, banalizzando l’andamento dei deflussi in alveo ed alterando la natura dell’ecosistema a valle. Questi manufatti rappresentano il fattore di pressione più significativo per una elevata percentuale di corpi idrici europei e sono la causa, spesso, del non raggiungimento dello "stato ecologico Buono". (ai sensi della Dir 2000/60/Ce) A favore abbiamo invece l’accumulo, quando possibile, di preziosa acqua per molteplici utilizzi, una produzione elettrica da fonte rinnovabile, un aiuto alla riduzione del rischio idraulico». Gli italiani si “innamorano” delle emergenze del momento per poi scordarsene regolarmente il giorno dopo: questo della siccità però è un problema diffuso, che interessa tutto il Paese da nord a sud. Crede che i cittadini impareranno a usare l’acqua in modo più consapevole? «È difficile perdere delle abitudini comode e consolidate, soprattutto quando l’acqua costa poco, mi riferisco ai prelievi privati da pozzo o a quelli irrigui dalle aste appenniniche, dove solitamente non sono presenti costosi pompaggi per l’approvvigionamento, ma anche all’acqua del rubinetto che non ha costi rilevanti se confrontata con gli altri paesi europei». Infine, guardando al futuro, dovremo abituarci a convivere con la siccità? «Con la siccità, ma anche con quelle che vengono chiamate “bombe d’acqua” e con gli eventi metereologici scatenati da temperatura elevata alternata a repentini abbassamenti della stessa. E’ assolutamente necessario impegnarsi in una strategia di adattamento che metta in campo una riqualificazione e una rinaturalizzazione dei nostri ecosistemi che, non dimentichiamo, sono i nostri ambienti di vita, affiancata ad un cambiamento progressivo delle nostre pratiche di utilizzo del territorio. Non potranno essere risolutivi in tempi brevi, ma rappresentano l’unica strategia percorribile che permetterà una inversione di marcia. Spesso le azioni che promettono soluzioni immediate rischiano di essere solo dei palliativi a breve termine». patrizia calzolari (*) In materia di tutela dell’ambiente e clima, nel documento si legge: "Sulla base del contenuto parziale disponibile, è improbabile che il piano proposto possa contribuire in modo sufficiente ed efficace a questo obiettivo generale, in particolare per quanto riguarda l’acqua, l’aria, i nutrienti e la biodiversità nei terreni agricoli e nelle foreste, nonché la riduzione delle emissioni e il sequestro del carbonio. Significativi miglioramenti sono necessari".

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