Il problema Amianto: storia, proprietà e diffusione

2022-07-23 04:36:19 By : Ms. BinBin Ye

Home / Approfondimenti / Il problema Amianto (o asbesto): storia, proprietà e diffusione di un minerale poliedrico

Vietato dal 1992, l’amianto – di cui l’Italia è stata tra i più grandi produttori e consumatori al mondo – era presente in migliaia di prodotti di ogni settore produttivo. Nonostante siano trascorsi trent’anni dalla messa al bando, l’asbesto è ancora massicciamente diffuso nel nostro Paese ed è un grave problema per la salute e l’ambiente.

A cura di: Arch. Emanuele Meloni

L’Italia è stata tra i primi Paesi in Europa a vietare l’impiego dell’amianto con la messa al bando delle attività ad esso correlate (estrazione, produzione, vendita e consumo), attraverso la Legge 257 del 27 marzo 1992 “Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto”.

Ciononostante, secondo i dati forniti dal CNR i quantitativi di materiali contenenti amianto presenti sul territorio italiano si aggirano intorno ai 32 milioni di tonnellate, derivanti, in gran parte, dai 2,5 miliardi di metri quadri di coperture – lastre ondulate o piane in cemento – in fibrocemento o Eternit. L’Italia è stata infatti, fino agli anni ’90, tra i maggiori produttori mondiali di amianto e prima in Europa (esclusa l’ex Unione Sovietica), di cui la gran parte è stato estratto dalla cava di Balangero, la più grande amiantifera d’Europa, di cui si sono occupati Primo Levi ed Italo Calvino.

Ripercorriamo le tappe che hanno condotto l’amianto (o asbesto) ad entrare nell’olimpo dei materiali – all’apice del suo successo era presente in ogni settore produttivo in migliaia di prodotti – sviscerandone le cause storiche, tecniche ed economiche.

L’amianto è stato largamente usato in tutto il mondo e in ogni settore produttivo, a causa del basso costo e delle sue eccellenti proprietà fisiche e meccaniche: straordinaria resistenza alla trazione, ignifugo, fonoassorbente e termoisolante, scarsa conduzione del calore, buona resistenza agli attacchi chimici.

Amianto, dal greco “amiantos”, incorruttibile, per la sua resistenza agli agenti chimici corrosivi. Il sinonimo Asbesto, dal greco “asbestos”, inestinguibile, indica la sua proprietà di resistenza al fuoco: era usato sin da tempi antichi, per farne vesti adatte alla cremazione.

Il termine “amianto” designa un gruppo di minerali fibrosi silicatici (di tipo serpentini o anfiboli) presenti in natura. Questi includono il crisotilo minerale serpentino (o “amianto bianco”) e i cinque minerali anfibolo: actinolite, amosite (o “amianto marrone”), antofillite, crocidolite (o “amianto blu”) e tremolite.

I minerali, classificati dalla normativa (Direttiva 2003/18/EC e Dlgs 81/2008) come amianto, sono 6:

Il tipo di amianto più diffuso in Italia è il crisotilo (copre da solo il 90% della produzione mondiale), un minerale serpentino con fibrille piuttosto lunghe e di sezione ridotta (0.2-0.5 nm).

Le fibre di asbesto sono microscopiche, circa 40 volte più piccole di un capello. Ciò le rende facilmente inalabili, se disperse nell’aria.

È ormai assoldato che l’inalazione delle sue fibre sia letale per gli esseri umani. Molti paesi hanno già intrapreso azioni a livello nazionale per vietare l’uso di tutte le forme di amianto e limitarne l’esposizione con l’intento di controllare, prevenire e infine eliminare le malattie asbesto-correlate, da cui muoiono almeno 107.000 persone ogni anno a livello globale (fonte: OMS) di cui, oltre 6 mila nel nostro Paese.

Che l’amianto fosse pericoloso per l’uomo era cosa risaputa. Sebbene già Plinio il Vecchio aveva notato l’ammalarsi degli schiavi che lavoravano nelle miniere (nel I secolo d.C., scrive ad un amico di “non comprare schiavi che abbiano lavorato nelle miniere di amianto perché muoiono giovani”), fu solo nel 1898 che il dottor Montague Murray ne appurò scientificamente il problema (aveva notato profonde alterazioni polmonari di tipo sclerotico, in seguito ad un’autopsia su un uomo che aveva lavorato come cardatore in una fabbrica di amianto).

La prima nazione al mondo a riconoscere la natura cancerogena dell’asbesto, dimostrandone il rapporto diretto tra utilizzo e tumori e, a prevedere un risarcimento per i lavoratori danneggiati, fu la Germania nazista nel 1943. In Italia, preziosi sono stati gli studi del prof. Vigliani, diffusi mediante le pubblicazioni dell’ente Nazionale di Propaganda per la Prevenzione degli Infortuni. Egli presentò i primi 300 casi italiani di mesotelioma, indennizzati dall’INAIL tra il 1943 e il 1967 e successivamente deceduti.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) e l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), ogni tipo di amianto (actinolite, amosite, antofillite, crisotilo, crocidolite e tremolite) è classificato come cancerogeno di classe I.

L’esposizione all’asbesto è la principale causa di mesotelioma pleurico e peritoneale, malattia altrimenti piuttosto rara. Sono stati osservati mesoteliomi dopo l’esposizione professionale a crocidolite, amosite, tremolite e crisotilo, nonché tra la popolazione che vive nei pressi di fabbriche e miniere di amianto.

Le malattie asbesto-correlate riconosciute dalla normativa italiana (DPR n.336 del 13/4/1994), sono le seguenti:

L’amianto è riconosciuto come causa del 50% dei casi di tumori occupazionali. La cancerogenicità di tale sostanza è principalmente correlata all’inalazione delle fibre. Purtroppo, il periodo di latenza tra l’esposizione iniziale ad amianto e l’insorgenza di malattie asbesto-correlate è estremamente lungo (la media è 46 anni). Il percorso legislativo che ha portato alla proibizione dell’amianto è stato piuttosto lungo, anche a causa delle difficoltà di accertamento degli effetti sulla salute che si manifestano a molti anni dall’esposizione.

La Comunità europea già dal 1983 ha previsto, attraverso la Direttiva 83/477/CEE “per gli Stati Membri l’obbligo di predisporre un registro dei casi accertati di asbestosi e di mesotelioma”. L’Italia ha istituito il Registro Nazionale dei Mesoteliomi (ReNaM), recependo la norma comunitaria attraverso il Decreto Legislativo 277/91 che prevede all’art. 36 – “Registro tumori” che “presso l’ISPESL è istituito un registro dei casi accertati di asbestosi e di mesotelioma asbesto-correlati“.

Le proprietà dell’amianto sono note fin da tempi molto antichi. Sono state rinvenute delle mummie egizie avvolte in teli d’amianto per proteggere il corpo dal deterioramento risalenti al 3.000 a.C. Plinio il Vecchio (23-79 a.C.) nella sua “Naturalis Historia” la definisce sostanza rara e preziosa, adoperata dai romani per confezionare i sudari dei defunti reali da cremare che, così avvolti evitavano la contaminazione delle ceneri che risultavano più pure e chiare.

Marco Polo ne “Il Milione”, racconta che i cinesi filavano le fibre del minerale per ottenere delle stoffe resistenti al fuoco.

L’amianto è stato anche usato come ingrediente nella preparazione di farmaci: la prima ricetta di cui si ha notizia, risale al ‘600. Il medico naturalista Boezio racconta dell’uso dell’amianto nelle medicine dell’epoca: “Dall’asbesto si fa spesso un unguento miracoloso per le ulcerazioni delle gambe. Si prendono quattro once di asbesto, due once di piombo, due once di ruta e vengono bruciate, quindi ridotte in polvere vengono macerate in un recipiente di vetro con l’aceto ed ogni giorno, per una volta al giorno per un mese l’impasto viene agitato; dopo un mese si deve far bollire per un’ora e lo si lascia riposare finché non diventi chiaro; poi si mescola una dose di codesto aceto bianco con una ugual dose di olio di rosa finché l’unguento sia ben amalgamato: allora si unge tutto il capo del fanciullo per farlo rapidamente guarire. Per la scabbia e le vene varicose, le parti vengono unte al tramonto finché non sopravvenga la guarigione. Se questo minerale viene sciolto con acqua e zucchero e se ne somministra una piccola dose al mattino tutti i giorni alla donna quando ha perdite bianche, guarisce subito“.

L’amianto è rimasto presente nei farmaci fino agli anni ‘70 per due tipi di preparati: una polvere contro la sudorazione dei piedi ed una pasta dentaria per le otturazioni.

L’amianto, per via delle sue straordinarie proprietà fisiche e meccaniche, è stato utilizzato – fino alla messa al bando definitiva – in migliaia di prodotti (se ne contano circa tremila) in diversi settori commerciali, dall’edilizia all’industria navale: tegole per tetti, caminetti, tubazioni, materiali isolanti, tessuti e cordami, cosmetici, farmaci, filtri per sigarette, nonché guarnizioni e pastiglie per automobili.

L’amianto è un materiale fonoassorbente e termoisolante, economico, facile da produrre, e resistente sia al fuoco che agli agenti chimici corrosivi. In virtù di queste sue qualità, era destinato ad essere applicato in misura massiccia, un po’ ovunque.

Le prime sperimentali prove di utilizzo dell’amianto in edilizia, in combinazione con il cemento risalgono alla fine dell’800 in Austria. Brevettato nel 1901 da Ludwig Hatschek, l’Eternit è un composto di cemento e amianto che prende il nome dal latino aeternitas: eternità. Il che, considerando la sua letalità, a posteriori, appare quasi come una beffa. Nel 1912 un ingegnere italiano costruisce per primo una macchina per la produzione di tubi in cemento‐amianto.

I prodotti e le applicazioni più diffuse nel settore edilizio comprendono:

Il più grande stabilimento di produzione dell’Eternit in Italia è stato attivo fino al 1986 a Casale Monferrato: una fabbrica imponente che dava lavoro a migliaia di persone. Qui le conseguenze dell’esposizione alla polvere di amianto sono pesantissime: oltre 3.000 morti su 37.000 abitanti.

L’Italia è stata fino agli anni ‘90 tra i maggiori produttori mondiali di amianto e prima in Europa (esclusa l’ex Unione Sovietica). Dal dopoguerra sono state prodotte circa 3.800.000 tonnellate ed importate circa 1.900.000 tonnellate di amianto grezzo.

La maggior parte di asbesto è stato estratto dalla cava di Balangero (TO), attiva dal 1907 al 1990, che vantava una produzione fino a 160.000 tonnellate annue, rappresentando la più grande miniera di amianto d’Europa e, tra le prime al mondo.

Tanti gli intellettuali che si occuparono di narrare le condizioni di precarietà lavorative a cui erano condannati gli operai della miniera e dello stabilimento. Tra questi, Primo Levi e Italo Calvino.

Primo Levi, neolaureato in chimica, venne assunto nel 1941 dall’Amiantifera di Balangero, sotto falso nome, per fare analisi sui campioni e verificare le possibilità di estrazione del Nichel dalla roccia di serpentino. Le memorie di quell’esperienza a tratti affascinante e misteriosa, è raccolta nel libro “Il sistema periodico. Nichel, 1975”: “In una collina tozza e brulla, tutta scheggioni e sterpi, si affondava una ciclopica voragine conica, un cratere artificiale, del diametro di 400 metri: era del tutto simile alle rappresentazioni schematiche dell’inferno, nelle tavole sinottiche della Divina Commedia. […] L’operazione procedeva in mezzo ad un fracasso da apocalissi, in una nube di polvere che si vedeva fin dalla pianura…quel lavoro da ciclopi era strappare alla roccia un misero 2% d’amianto che vi era intrappolato…”.

Egli documenta la condizione di insicurezza diffusa sia nella cava che nelle fabbriche destinate alla lavorazione del minerale. Non vi era alcuna percezione del pericolo in cui si era immersi: “C’era amianto dappertutto, come una neve cenerina: se si lasciava per qualche ora un libro su di un tavolo e poi lo si toglieva, se ne trovava il profilo in negativo; …”

Anche Italo Calvino, che giunse a Balangero nel 1954, in seguito ad uno sciopero che perdurava da 40 giorni, come giovane redattore de “L’Unità”, denunciò i danni ambientali e le condizioni lavorative precarie del giacimento amiantifero torinese. Nel suo lungo reportage intitolato “la fabbrica della montagna”, egli descrisse la mastodontica cava con “quelle gradinate grigie, lucide ad anfiteatro tagliate nella montagna rossiccia di cespugli invernali; la montagna scendeva pezzo a pezzo nei frantoi della fabbrica e veniva risputata in enormi cumuli di scorie, a formare un nuovo, ancora informe sistema montuoso grigio opaco.” Un pezzo di montagna, che ha ormai perduto la sua originaria naturalezza, dove “non ce n’è di lepri nel bosco, non crescono funghi nella terra rossa dei ricci di castagno, non cresce frumento nei duri campi dei paesi intorno, c’è solo il grigio polverone d’asbesto della cava che dove arriva brucia, foglie e polmoni, c’è la cava, l’unica così in Europa, la loro vita e la loro morte”.

Sebbene a fine 2013, più di 50 paesi, inclusi tutti gli stati membri dell’Unione Europea, hanno vietato l’uso di tutte le forme di amianto, esistono ancora Paesi in cui l’asbesto può essere estratto e lavorato per essere esportato (i maggiori utilizzatori sono i paesi in via di sviluppo).

L’Italia è stata tra i primi Paesi in Europa (dopo i paesi scandinavi), a vietare la produzione, vendita e consumo dei prodotti contenenti amianto: dal 1993 in Germania, dal 1996 in Francia e solo dal 2000 in Svizzera. Ciononostante, il problema della malattie asbesto correlate è ancora piuttosto incombente.

Questo perché fino agli anni 90 il Belpaese era il paese maggior estrattore, produttore e utilizzatore d’amianto in Europa, se si esclude l’Unione Sovietica. E perché gli effetti sulla salute si manifestano a molti anni dall’esposizione: il picco è previsto da qui al 2025.

Con la Legge 27 marzo 1992 n. 257, l’Italia mette al bando tutti i prodotti contenenti amianto, vietandone “l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione” secondo un programma di dismissione per il quale non sono ammesse deroghe ed il cui termine ultimo è scaduto nell’aprile 1994.

Dal 1992 (data di proibizione all’uso dell’amianto) ad oggi, si sono succedute una serie di norme per regolamentare questo minerale, diffuso in ogni settore produttivo:

Il successivo Decreto Ministeriale 06 settembre 1994, decreto attuativo della legge 27 marzo 1992, n.257, stabilisce normative e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie.

Nel 2015 l’Italia presenta il suo Piano Nazionale Amianto, con l’obiettivo di “Migliorare la tutela della salute e la qualità degli ambienti di vita e di lavoro in relazione al rischio rappresentato dall’esposizione ad amianto”. Per raggiungere gli obiettivi sono previste una serie di azioni:

La normativa vigente non prevede però alcun obbligo di rimozione circa i materiali contenenti amianto dagli edifici. I proprietari sono tenuti al periodico controllo e manutenzione, onde accertarsi che lo stato di conservazione dei manufatti non possa essere fonte di pericolo per la salute degli occupanti e dell’ambiente. E, solo in caso di accertato pericolo, vi è l’obbligo di procedere alle operazioni di bonifiche amianto.

Le attività di censimento e mappatura dell’amianto previste nei piani regionali dalla Legge 257 del ’92 e, successivamente, stabilite e finanziate dal DM 18 marzo 2003, n. 101. Ai fini della mappatura è stata predisposta da INAIL, su apposita convenzione con il Ministero dell’Ambiente, una “Banca Dati Amianto”, di concerto con le Regioni, della mappatura completa della presenza di amianto sul territorio nazionale, il cosiddetto Piano Nazionale Amianto. Ai fini della mappatura regioni e le province autonome hanno obbligo di trasmettere al MITE i dati relativi alla presenza di amianto entro il 30 giugno di ogni anno.

Il censimento del territorio nazionale risulta però ancora parziale: è stato completato solo da 6 Regioni su 15 (Campania, Emilia Romagna, Marche (solo per edifici pubblici e imprese), Piemonte, Provincia Autonoma di Trento e Valle d’Aosta), mentre le restanti 9 regioni dichiarano che è in corso di completamento.

Alla data di aprile 2018, risultano censite su tutto il territorio nazionale complessivamente oltre 370 mila strutture, per un totale di quasi 58 milioni di metri quadrati di coperture in cemento amianto, così suddivise per tipologia:

Secondo i dati forniti dal CNR i quantitativi di materiali contenenti amianto (MCA) presenti sul territorio italiano si aggirano intorno ai 32 milioni di tonnellate, derivanti, in gran parte, dai 2,5 miliardi di metri quadri di coperture: lastre ondulate o piane in cemento-amianto.

Secondo l’ONA (Osservatorio Nazionale Amianto), l’asbesto è presente ancora in 2.400 scuole, 250 ospedali e 300.000 km di tubature (su 500 mila) della rete idrica nazionale.

Non possiamo che augurarci di vedere presto una mappatura nazionale completa del rischio amianto, unico strumento davvero efficace per conoscere e poter intervenire prontamente nelle aree a maggior rischio di contaminazione.

La legge di Bilancio 2021 (Legge 30 dicembre 2020, n.178) prevede, oltre a risarcimenti economici per le vittime dell’amianto, la proroga al 31 dicembre 2021 della detrazione al 50% (massimale 96 mila euro), per gli interventi di ristrutturazione edilizia, indicati dall’articolo 16-bis del TUIR:

Quindi i lavori di bonifica dell’amianto possono beneficiare del bonus per la ristrutturazione edilizia al 50% mentre, per quanto concerne il superbonus al 110% valido per gli interventi di efficientamento energetico e antisismici, non esiste una voce ad hoc relativa ai costi per lo smaltimento amianto e la bonifica.

Questa è un’occasione persa per l’Italia, che poteva approfittare degli strumenti rafforzati degli incentivi fiscali sottoforma di Superbonus al 110% per liberare il paese dall’invasione dell’amianto che, a tutt’oggi miete ancora migliaia di vittime l’anno (oltre seimila). Oltre all’inquinamento cagionato dal rifiuto pericoloso asbesto che lentamente degrada disperdendo le fibre nell’ambiente quando potrebbe essere trattato e reinserito nel ciclo produttivo in ottica di economia circolare. Peccato, bastava davvero poco per avviare un’opera davvero organica di risanamento del parco immobiliare.

Notizia di pochi giorni fa, la Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria ha approvato la Relazione sull’applicazione delle misure fiscali per la riqualificazione energetica e sismica, con alcune proposte, tra cui quella di considerare la possibilità di estendere il superbonus anche alle spese relative a rimozione e smaltimento dell’amianto (presentata dall’ONA). Ci auguriamo che questa ed altre osservazioni (tra cui quella di estendere il bonus fino al 2023), vengano al più presto recepite con un decreto ad hoc.

Ricordiamo che, aldilà degli incentivi fiscali nazionali, esistono appositi contributi economici locali, stanziati da regioni, comuni e provincie, di cui possono beneficiare i cittadini che si fanno carico degli oneri delle attività di bonifica.

Infine l’INAIL mette a disposizione delle imprese (Bando Isi 2020), ubicate su tutto il territorio nazionale e iscritte alla Camera di commercio industria, artigianato ed agricoltura e gli Enti del terzo settore, ad esclusione delle micro e piccole imprese agricole operanti nel settore della produzione primaria dei prodotti agricoli – un contributo in conto capitale fino al 65% delle spese ammissibili, calcolate al netto dell’IVA, sostenute e documentate, per la realizzazione del progetto. Il progetto da finanziare deve essere tale da comportare un contributo compreso tra un minimo di euro 2.000,00 ed un massimo di euro 50.000,00.

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