Unire le forze per la resilienza climatica a Gaza | Terrasanta.net

2022-07-30 04:35:31 By : Mr. licon lv

Pannelli solari, energie rinnovabili, depurazione delle acque di scolo. Qualcosa si muove, ma molto di più dovrebbe essere fatto per la sicurezza idrica, sanitaria ed energetica nella Striscia di Gaza. Alcune proposte sul campo

Lo scorso mese di giugno il 65 per cento delle acque costiere della Striscia di Gaza sono tornate pulite e non più inquinate da liquami non trattati che da anni rendevano inagibile il 97 per cento delle spiagge, grazie a un progetto coordinato dall’organizzazione ambientalista EcoPeace Middle East, che punta molto sul coinvolgimento di donne e giovani. Ma è urgente mettere in cantiere numerosi altri interventi di contrasto alla crisi climatica e sanitaria, dalla desalinizzazione al trattamento delle acque reflue, dalla produzione di energia elettrica da pannelli solari alle forniture di gas, vista l’estrema fragilità delle infrastrutture e dell’assistenza medica della Striscia che potrebbero avere un impatto devastante sulle condizioni di vita e di salute pubblica.

È quanto si legge su un lungo articolo pubblicato dall’Istituto per la sicurezza nazionale dell’Università di Tel Aviv, dopo un convegno tra esperti israeliani, palestinesi e il Comitato internazionale della Croce rossa, convocato per l’urgenza degli «effetti catastrofici che i cambiamenti climatici potrebbero avere sulla Striscia», e che pongono una sfida certamente non inferiore a quella avvertita dai vertici della Difesa israeliana «sul nodo gordiano fra le condizioni umanitarie e la minaccia alla sicurezza che proviene da Gaza».

Le condizioni generali sono presto dette: alla fine del 2021 risultavano 2,1 milioni gli abitanti della Striscia su 365 chilometri quadrati; il tasso di natalità è di 3,9 bambini a famiglia in confronto a 3,1 in Israele. Il reddito pro capite annuo risulta di 1.211 dollari, pari a quello dello Zimbabwe ed inferiore a quello della Siria dopo 11 anni di guerra; più della metà della popolazione dipende dagli aiuti umanitari per la sopravvivenza. Il blocco imposto da Israele ai movimenti di beni e persone contribuisce alla crisi economica della Striscia, anche se non ne è la sola causa.

Alla fine di maggio 2022 nella Striscia l’elettricità risultava disponibile in media di 12 ore al giorno, con una grande dipendenza da generatori privati che usano gasolio. La centrale elettrica che trasmette elettricità dalla Israel Electric Corporation avrebbe in origine dovuto esser alimentata dal gas naturale proveniente da un giacimento marino scoperto nelle acque territoriali di Gaza, ma a causa del mancato accordo fra Hamas, Autorità palestinese e Israele, l’impianto non è mai stato sviluppato e la centrale elettrica viene alimentata da gasolio che aumenta l’inquinamento dell’aria nella zona.

Poche sono le informazioni sull’acqua, provenienti in gran parte dall’Autorità palestinese: si suppone che il gap fra domanda e offerta ammonti a 102 milioni di metri cubi all’anno (in confronto ai 33 milioni in Cisgiordania). Il consumo è basato quasi completamente sulle falde acquifere, non potabili, con un’alta concentrazione di sale, e la presenza di nitrato causata dal sovra-pompaggio pone gravi rischi alla salute. Quest’acqua è utilizzata principalmente per agricoltura, igiene e industria, mentre il 90 per cento della popolazione beve acqua desalinizzata prodotta nei 154 siti pubblici e privati di desalinizzazione, più di 100 dei quali operano senza licenza o ispezioni. Tali impianti in ogni caso non rimuovono i fattori di inquinamento e conseguenti rischi per la salute. Il restante 10 per cento dei consumi di acqua è fornito da Israele e da tre piccoli impianti di desalinizzazione che forniscono 62 milioni di metri cubi di acqua, che in ogni caso non funzionano bene a causa della scarsità di energia e di manutenzione.

Numerosi sono i progetti allo studio, pur nella sottolineatura che, come emerso in alcuni momenti di tensione durante il convegno, «gli interlocutori israeliani e delle agenzie umanitarie che cercano di affrontare questi problemi incontrano resistenze politiche e limiti morali e legali che impediscono di agire di fronte alle minacce poste da Hamas, che di fatto governa la Striscia».

Il primo suggerimento è quello di adottare un approccio a lungo termine basato sulla crescita dell’industria delle energie rinnovabili, che dovrebbe crescere con l’incremento dell’utilizzo di pannelli solari, che attualmente forniscono il 25 per cento dell’elettricità generata a Gaza, ma potrebbe crescere con un investimento di almeno 200 milioni di dollari. Un’altra proposta è quella di aumentare la raccolta di acqua piovana, che attualmente finisce in gran parte in mare, mentre lo stoccaggio potrebbe ridurre la salinità delle falde acquifere e provvedere ai bisogni agricoli.

Ecopeace infine ha avanzato due ambiziose proposte di cooperazione transfrontaliera. La prima è che la Giordania fornisca energia solare a Gaza per alimentare impianti di desalinizzazione, in cambio di acqua. Infatti, malgrado l’insufficienza idrica a Gaza, una fornitura costante di elettricità insieme alla stabilità politica, finanziamenti regolari, l’allentamento delle restrizioni imposte da Israele, potrebbero favorire la costruzione di una più ampia infrastruttura di desalinizzazione che produrrebbe acqua in più rispetto alla domanda locale e potrebbe dunque esser venduta alla Giordania in cambio di elettricità prodotta dal sole. La seconda proposta è la costruzione di parchi solari nell’area C in Cisgiordania, da dove l’elettricità verrebbe inviata a Gaza attraverso la rete elettrica israeliana.

Perché Il giardino di limoni?

Il limone, dall’arabo līmūm, non è forse uno dei frutti che meglio rappresentano la solarità e i profumi del Mediterraneo? Il giardino di limoni evoca, certo, il bel film di Eran Riklis sulla storia vera dell’agricoltrice palestinese Salma Zidane. Ma, allargando lo sguardo, quest’immagine mi fa pensare anche alla capacità delle donne di prendersi cura di chiunque le circondi, si tratti di una piantina umana o vegetale, e più ancora di trarre le essenze più dolci dai frutti più aspri, trasformandole in risorse per se stesse e gli altri. Come non smettono di insegnarci migliaia di femministe che dagli albori del «secolo lungo arabo» (1916-2011), proprio come avvenuto nel resto del mondo, si battono per vincere la secolare tradizione di soggezione e asservimento delle donne, da cui non è facile liberarsi. Proveremo in questo blog a raccontare, oltre gli stereotipi e nei differenti contesti del Nord Africa e Medio Oriente, i germogli di questi laboratori e le storie di chi prepara la fioritura.

Laureata in Lettere moderne e giornalista professionista dal 1999, Manuela Borraccino ha seguito dal 1998 il Vaticano e il Medio Oriente per le agenzie Ansa (1997-2001), per l’Adnkronos (2001-2004) e per il service televisivo internazionale ROMEreports (2004-2009), per il quale ha girato e prodotto alcuni documentari sull’impegno della Chiesa cattolica nei Paesi in via di sviluppo e nella prevenzione dell’Aids. Ha scritto reportage da Israele e dai Territori palestinesi per testate italiane e straniere e ha lavorato come field producer per emittenti latino-americane nei due Conclavi del 2005 e del 2013. Ha pubblicato per le Edizioni Terra Santa e per l’Editrice La Scuola. Ha diretto per tre anni (2017-2019) il settimanale diocesano di Novara ed è cultrice della materia in Storia contemporanea presso la Libera Università di Lingue e comunicazione (Iulm) di Milano.

Appello a Biden: «Ascoltate noi madri israeliane e palestinesi»

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